Collasso o Utopia?

netBorg
5 min readMay 24, 2021

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Oggi ragionare sul concetto di utopia può sembrare all’apparenza eretico, specialmente quando il dibattito è completamente incentrato sulla catastrofe e il collasso che verrà. La domanda che sorge spontanea in queste condizioni è quale utopia che possiamo sforzarci ad immaginare per il mondo del futuro? Da cosa possiamo costruirla quando intorno abbiamo nient’altro che le ceneri di un pianeta il cui destino sembra irrimediabilmente segnato?

Siamo ormai abituat* a definire “antropocene” l’era che stiamo vivendo, deresponsabilizzando la classe sociale che è stata in grossa parte colpevole del disastro ecologico in corso, le soluzioni che ci vengono proposte provengono dalle stesse strutture che hanno generato la distruzione di interi ecosistemi, rendendo la Terra sempre più inabitabile a qualsiasi forma di vita. Quelle che vanno affermandosi nei circuiti mainstream sono reazioni di tipo “green”, che rispondono ai disastri ambientali capovolgendone l’asse semantico: all’irrimediabilità della catastrofe viene contrapposta la risolvibilità della crisi, proponendo soluzioni che spostano di un quarto d’ora la fine.

Appurata la direzione in cui il mondo attualmente sta procedendo, che accelera dritta verso il collasso sociale, politico ed ecologico, abbiamo bisogno di costruire nuove narrazioni che riescano a superare l’impossibilità di immaginare il futuro oltre le distopie della catastrofe. Attraverso nuove visioni e suggestioni possiamo aprirci a scenari ancora inesplorati, che siano in grado di ripensare alla sopravvivenza della vita — umana e non umana — su questo pianeta, con una prospettiva necessariamente emancipatoria dal capitale e dall’antropocentrismo, perché è solo a partire dall’esistenza non-umana che possiamo scovare qualche forma di salvezza per gli esseri umani.

Con l’avvento dell’antropocene, l’essere umano ha spezzato il “contratto naturale” che aveva con la natura, lo stesso che permetteva la coesistenza con altre specie non-umane, affermandosi definitivamente in una relazione di supremazia su di essa. Il risultato sono inondazioni, uragani, incendi, siccità, epidemie, e tutto ciò che è classificabile come una risposta della natura stessa alla violenza umana. L’ecotopia si delinea come una soluzione per ridurre profondamente il nostro impatto sul pianeta, rimettere in moto l’equilibrio tra tutte le specie umane e non-umane sulla terra, un riallineamento delle dinamiche predatorie che hanno distinto negli ultimi secoli il nostro rapporto con l’Altro.

Un processo di reincantarmento della natura e della tecnologia possiamo ritrovarlo nelle suggestioni e nelle prospettive solarpunk, dove quest’ultime vengono reimmaginate fuori dal circolo vizioso di sfruttamento e obsolescenza. Considerando che qualunque visione primitivista di sorta è fuori discussione, e un passo indietro di questo tipo non gioverebbe alla vita umana sulla terra, quel che ci resta è riprogrammare il nostro rapporto con la natura, con la tecnica e con le tecnologie. L’utopia solarpunk offre una prospettiva pratica: tecnologie a basso consumo, design grezzi, biomimetismo con la natura attraverso materiali “intelligenti”. Gli scenari tecnologici del solarpunk sono effettivamente realizzabili, con il progresso tecnico-scientifico che pari passo si sposa con scelte politiche volte a generare pratiche per la redistribuzione di risorse. Prendere atto dell’inevitabile futuro che si prospetta è il passo principale per costruire politiche del riadattamento che creino connubi tra teoria e pratica ripartendo dalle gigantesche infrastrutture che abbiamo creato. Il solarpunk in questo senso non fa promesse di mondi impossibili, piuttosto cerca di individuare quale mondo è effettivamente praticabile.

Quando pensiamo ai mondi che potevano essere ma non si sono realizzati, a tutte le visioni utopiche che hanno contraddistinto soprattutto il XX secolo, non possiamo non ricordare il ruolo che ha avuto la scienza e a tutte le promesse che ha mancato. Nel costruire ciò che avevamo immaginato nel passato, in particolare negli scenari fantascientifici, la scienza è stata rimodellata dalle dinamiche capitalistiche e asservita ai propri scopi. Le logiche di mercato hanno assorbito anche la ricerca scientifica, costituendo come unica forma di ricerca valida sul futuro quella a interesse delle multinazionali, che detengono e indirizzano il progresso tecnologico e scientifico attraverso gli investimenti.

Una domanda centrale giunti a questo punto è: la razionalità scientifica è davvero una forza emancipatrice così come avevamo sempre immaginato? C’è una alternativa da cui poter ripartire per scatenare forze propulsive volte a liberare le narrazioni impossibili?

Quando parliamo di reincantare il mondo, parliamo anche di reincantare il reale, di osservarlo da angolazioni del tutto inedite. Nell’osservazione che facciamo del tangibile spesso non ci fermiamo ad osservare cosa può un errore. L’errore è oggetto di stigma, è un malfunzionamento, qualcosa che va necessariamente corretto, non un fattore su cui costruire una agentività. L’errore in tal senso potrebbe risultare paradossale, ma la realtà di fatto diviene qualcosa su cui si può agire sfruttando le potenzialità del glitch, spostando gli assi del binarismo man mano che la nostra esperienza col mondo si smaterializza.

Infatti come scrive Legacy Russell in Glitch Feminism: “In una società che condiziona il pubblico a provare disagio o paura negli errori e nei malfunzionamenti dei nostri meccanismi socioculturali un “glitch” diventa un concetto più potente. Il femminismo glitch capovolge l’oscura implicazione riconoscendo che un errore in un sistema sociale che è già turbato dalla stratificazione economica, razziale, sociale, sessuale e culturale — processi che continuano a mettere in atto violenza su tutti i corpi — non può essere, di fatto, un errore, ma piuttosto un erratum di cui c’è bisogno. Questo glitch è una correzione alla macchina e dunque un allontanamento positivo.”

Ciò che governa la nostra esperienza col mondo affiora in regole che sono percorsi indotti dalle sovrastrutture cui ci sottoponiamo, ai quali rispondiamo come se fosse una necessità. Il glitch in questo caso è un errore “fortunato”, qualcosa che scuote alle fondamenta gli assi del reale, e mette in discussione paradigmi che credevamo intoccabili. Il glitch si configura come una modus operandi emancipatorio, è la circostanza che evidenzia ciò che di sbagliato c’è nel sistema che nel divenire sempre più complesso presenta rivela ciò che è inevitabile.

Per approfondire, puoi recuperare la diretta completa con Alessandro Longo, Marco Mattei e Vincenzo Grasso, che curano il progetto Speculum!, sul nostro canale YouTube.

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